«Siamo creature complesse alla perenne ricerca di senso… e il fatto di vivere in un mondo caotico, entropico e senza senso non ci aiuta. Cerchiamo di sopperire alla mancanza di risposte con tecno-miti o con una spiritualità spesso “scomposta”. La verità è che la maggior parte di noi vive assai peggio dei nostri progenitori, segno che Le Società non tendono al sublime e che persino un ipotetico piano pedagogico divino appare più oscuro che mai. La nostra idea di utopia si scontra quotidianamente con la distopia che ci circonda. E’ uno scontro feroce che ci dilania le carni e l’identità. Questo è il motivo per cui tutte le immagini che compaiono in questo contesto sono prive di volto, di sguardo, oscurate, nascoste dall’ombra o da una maschera. Soggetti che rifuggono la luce, spesso con evidenti segni di lotta sulla pelle. E’ l’apocalisse del sé. Noi non sappiamo più chi siamo, o peggio, temiamo di scoprirlo. La narrazione vagheggiata dagli utopisti moderni attraverso i media non funziona più perché ora si avverte netta la realtà dolorosa e oppressiva dentro di noi. Il mal di vivere è assai più comune di un raffreddore e molto più letale. Forse l’esercizio che ci salverà, se ha senso parlare di salvezza, è la ricerca di un equilibrio che sfocia dal conflitto. L’ordine che nasce dal chaos. Come nella celebre litografia delle “Mani che disegnano” di Escher, dove una mano disegna l’altra in un vortice senza soluzione di continuità, noi resteremo prigionieri di noi stessi… o magari prima o poi il nostro animo prenderà a “disegnare” nuove città ribaltando la realtà di una società perversa e distopica come quella odierna.» (Dalla presentazione di “Dystopia", Londra, 2012)