Questo è un periodo strano. Inquieto. Fatto di rivisitazioni e di vecchi incontri… ed è anche un periodo di ri-letture. Incappai in “Mai venga il mattino” di Nelson Algren molti anni fa, dopo aver letto una biografia di Hemingway. L’autore della biografia diceva che Hemingway stimava Algren al punto che in una sua copia di “L’uomo dal braccio d’oro” scrisse: «Ok, ragazzo, hai battuto Dostoevskij. Non ti combatterò mai a Chicago. Mai. Ma ti farò fuori nelle città che io conosco e che tu non conosci».
Va bene, Hemingway era un tipo strano, tutti lo sanno, ma l’aneddoto fu sufficiente per incuriosirmi.
Cercai “L’uomo dal braccio d’oro” per un intero pomeriggio. Niente. Alla fine della serata, in una piccolissima libreria un commesso scettico mi disse di avere un unico libro di Nelson Algren, ma che non era quello che cercavo. Lo presi rassegnato e lo iniziai a leggere appena rientrato a casa. Mi dimenticai di cenare. Passai tutta la notte nel ghetto polacco di Chicago, nella parte più nascosta dell’America, in mezzo agli emarginati, disperati, vagabondi, prostitute e ruffiani. Una visione cruda, quasi sociologica, della natura umana e delle sue peggiori debolezze.
Tanta critica che “contava” odiò Algren. Letteralmente. Gli rimproverava di ritrarre una America della Grande Depressione che non c’era più… superata da quella postbellica, da una nazione ormai prospera e fiorente. Pura ideologia. La verità era che in piena guerra fredda non si accettava una così radicale presa di posizione a favore delle vittime del capitalismo, che non sono mai mancate. Mai. Ora, che ho appena riposto il libro nello scaffale in alto per la seconda volta in vent’anni, mi guardo intorno e vedo quello che vedeva Algren nella sua neorealistica fotografia dei suoi tempi… e mi preoccupa che questo non mi sorprenda affatto.
Anche se nessuno può battere Dostoevskij.
Daniele Deriu
[Daniele Deriu, “Mai venga il mattino” (Never Come Morning), 2012]